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dimanche 8 février 2004

La Gabbianella e il Gatto

a cura di Stefano Andreoli

 

Kengah, una gabbiana avvelenata da una macchia di petrolio, in punto di morte affida il suo uovo al gatto Zorba, strappandogli tre promesse: di non mangiarlo, di averne cura finché non si schiuderà e di insegnare a volare al nascituro.

Fortunata, la neonata gabbianella, cresce felice all'interno della comunità felina, credendosi un gatto. Pallino, suo compagno di giochi, durante un litigio sbotta, geloso delle attenzioni che le riservano gli altri gatti, dicendole che non è un gatto e che presto verrà mangiata. Fortunata, impaurita, scappa e viene catturata dai topi: i gatti riescono però a liberarla; e così, presa ormai coscienza di sé, con l'aiuto di Zorba e degli altri gatti, imparerà a volare prendendo la propria strada tra le vie del cielo...

A volte vien da pensare che l'Italia sia un paese povero. Non tanto nel senso della qualità della vita, quanto per l'incapacità dell'industria di valorizzare le risorse e i talenti nostrani. Un caso tipico è rappresentato nel cinema dal cartone animato.

Dai fratelli Pagot a Gianini e Luzzati, da Manfredo Manfredi a Cioni Carpi, da Manuli a Cavandoli e naturalmente a Bruno Bozzetto, il cinema d'animazione italiano ha dato vita - in particolare negli anni Sessanta e Settanta - ad una produzione ragguardevole per qualità, resa espressiva e originalità, autofinanziata dagli stessi autori con i soldi ricavati grazie a "Carosello" o agli stanziamenti della legge sul cinema del 1965. Film che nella maggior parte dei casi, a causa di una distribuzione "perversa" e discriminatoria verso il cortometraggio, sono arrivati pochissimo nelle sale.

E così, nonostante le potenzialità del settore, in Italia le regole secondo cui i produttori finanziano i film trovano solamente pochissime eccezioni nel campo del cartone animato. Una di queste è proprio La gabbianella e il gatto, di Enzo D'Alò, ispirato al libro di Luis Sepùlveda, con dieci miliardi di investimento da parte del Gruppo Cecchi Gori.

Un'altra eccezione relativa a questo film riguarda la raffigurazione dei personaggi. Pensiamo solo a come il cartone animato ha rappresentato gatti e topi: da un punto di vista grafico, il tratto comune di Topolino, degli Aristogatti, di Tom e Jerry e di Gatto Silvestro sono le fattezze antropomorfe; come personaggi, invece, i gatti (in particolare Silvestro e Tom) sono dei "perdenti", non brillano certo per intelligenza e sono costantemente bersagliati dalla sorte, a causa della loro incauta furbizia.

Il topo-divo per eccellenza, Mickey Mouse, è invece l'immagine del giovane americano, buono, ingenuo e un po' sbadato: il tipico ragazzo medio, in gamba quanto basta; ricorda vagamente Harold Lloyd, ma completamente svuotato di vis comica. E Jerry non ne è che una variante, in cui spiccano maggiormente spigliatezza e furbizia.

Anche i felini e i topi protagonisti degli Aristogatti sono una leziosa decalcomania degli umani. Nel film di Disney, entrambi rappresentano i "buoni" coalizzati contro il maggiordomo Edgar che fa sparire i gatti appena appreso che la propria padrona, una ricca aristocratica, avrebbe lasciato loro in eredità tutti i propri averi (chi non avrebbe agito così dopo una vita di sfruttamento?!).

Nella Gabbianella e il gatto gli autori optano per una "terza via" che si situa al di qua della pura comicità e al di là del leziosismo antropomorfo. Le scelte figurative e stilistiche sono dimensionate "a misura di gatto". Non solo graficamente (il disegno è semplice e misurato, i colori sfumano l'evidenza realistica in senso un po' naïf), ma anche a livello di taglio dell'inquadratura. La macchina da presa si colloca - virtualmente! - quasi sempre all'altezza dei protagonisti, ritraendoli in primo piano su sfondi di notevole profondità e prospettiva; ne assume indirettamente il punto di vista, per far emergere il loro modo di relazionarsi al "mondo": i felini rappresentano un modo di sentire diverso/alternativo rispetto a quello degli umani e non a caso nel momento i cui devono chiedere la collaborazione di un umano per portare Fortunata sulla cima della torre e farla volare, si affidano non al poeta ma alla figlia ancora bambina.

Gatti "contro" topi: anche in questo caso la contrapposizione è fondata su diverse/alternative concezioni del mondo; i topi costituiscono una comunità xenofoba e altamente gerarchizzata, in cui la passiva sudditanza al Grande Topo si esprime con il motto "Lavora e striscia". Graficamente, al contrario dei gatti, prevale l'accentuazione grottesca e antinaturalistica: il corpo grasso, flaccido, una massa informe marrone con una coda appuntita; quasi non si distinguono le zampe e la testa, da cui spicca un naso oblungo, una specie di proboscide.

A nostro avviso, i topi, marginali nel libro di Sepùlveda, costituiscono nel film di D'Alò uno degli elementi più originali, poco osservato dai critici, che fa da contraltare allo stile "fotografico", interrotto all'inizio e alla fine dalle due sequenze "oniriche".

In altre parole, la sfida tentata dal gruppo di animazione della Lanterna Magica di Torino (ove nasce il film) è stata quella di creare un tipo di cartoon in grado sia di reggere la competizione con i colossi americani, che di veicolare tematiche "adulte". Una sfida riuscita, proprio perché è stata scelta una modalità comunicativa differente rispetto a Disney e a Spielberg, in cui stile, ritmo di montaggio e musiche non puntano a scioccare lo spettatore, ma gli lasciano il tempo per riflettere.

Centrale tra i vari spunti contenutistici il rapporto diversità/identità. I gatti - dal momento in cui Fortunata scambia Zorba per la propria madre, fino al litigio con Pallino - accettano la gabbianella nella loro comunità, ma non trovano il coraggio di rivelarle la sua vera identità. Hanno verso di lei un atteggiamento protettivo, che verrà messo a nudo nel corso del litigio con Pallino. Il messaggio che ne esce non è solo di condanna verso la xenofobia (la comunità dei topi), ma anche verso un modello di integrazione in cui le differenti identità culturali vengano annullate anziché esaltate.

Comunque, al di là della "morale", è importante sottolineare che il cartone animato è rimasto, come ha scritto Gianni Canova su "Segnocinema", l'unico linguaggio in cui è consentito un grado di sperimentazione impensabile in altri campi: "Basta quel batuffolo di penne bianche mescolato ai peli grigi dei felini per ribadire con forza che l'identità è sempre una questione di cultura e non di natura. E' un messaggio così semplice ed elementare che forse lo si può ribadire ormai, per l'appunto, solo in un cartone animato".

Qualche parola infine sull'attività della Lanterna Magica, nata come società di realizzazione di film di animazione per ragazzi, che continua tuttora a svolgere progetti educativi su temi di impegno sociale, in cui i ragazzi delle scuole sono direttamente coinvolti nella produzione di "sogni animati".

Il libro di Sepùlveda e il film di D'Alò sono diventati lo stimolo per l'iniziativa "Gabbianella: Progetto Scuole", concretizzatasi nel cortometraggio animato Qui gatto ci cova, realizzato dai bambini di due classi delle scuole elementari "Colonna e Finzi" e "Rayneri" del quartiere San Salvario di Torino, di cui le cronache si sono spesso occupate, a causa della difficile convivenza tra italiani ed extracomunitari.

Con l'aiuto di D'Alò, di Sepùlveda, di Rita Rossi per il montaggio e di Lele Luzzati per l'animazione, i bambini hanno elaborato tutte le fasi preparatorie alle riprese: sceneggiatura, story-board, studio dell'ambientazione e dei personaggi, musiche. Dal punto di vista grafico, la scenografia "bidimensionale" e antiprospettica, la semplicità del disegno e l'uso vivace dei colori si fondono perfettamente con la tecnica di animazione tipica dei film che Lele Luzzati girava con Giulio Gianini, basata sul movimento di pezzettini di cartone raffiguranti i personaggi o parti dello "sfondo" medesimo. Un "impasto" figurativo teso proprio ad esaltare le componenti di spontaneità, di immediatezza e di poesia tipiche del disegno infantile.

Identità culturale, integrazione, "sogni animati": probabilmente mai come adesso vi è stata la necessità anche di questo, per tentare di uscire dagli "incubi" in corso nei Balcani.

 

Articolo tratto da DM 133/134 maggio 1999. DM è un trimestrale edito dalla Direzione Nazionale dell'Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare. La Redazione di DM ha sede in: Via P.P. Vergerio, 19 - 35126 Padova, Tel. (049) 8021002 - Fax (049) 8022509 e-mail: redazionedm@eosservice.com

   

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